Prima macchina fotografica: la Dagherrotipia
La Dagherrotipia
Quando nasce la prima macchina fotografica? In che luogo? Per quale scopo?
Sono molte le domande legate alla nascita della prima macchina fotografica, quello strumento che ha consentito una vera e propria rivoluzione culturale, sociale e artistica, e che, ha modificato in modo permanente la percezione dell’uomo e della realtà che lo circonda.
Nascita della fotografia
La fotografia nasce ufficialmente nel 1837 da Louis Mandè Daguerre.
Louis-Jacques-Mandé Daguerre nasce a Cormeilles-en-Parisis il 18 novembre 1787, con la sua invenzione, la dagherrotipia appunto, un processo fotografico nel quale venivano impiegate lastre di rame argentato ricoperte di ioduro d’argento. Le dimensioni potevano variare partendo dalla lastra intera di circa 16 per 21 cm, molto poco utilizzata a causa del suo costo elevato e quindi accantonata. Ecco perché i formati più comuni erano frazioni della lastra intera, ossia parti più piccole che risultavano più comode poiché richiedevano attrezzature relativamente grandi.
Tornando appunto alla nascita della prima macchina fotografica e quindi al dagherrotipo, bisogna specificare che in quest’ultimo l’immagine era costituita da piccolissime particelle di mercurio che si trovavano al di sopra di una superficie argentata assolutamente lucida; le luci erano costituite da un liquido composto per una parte di mercurio e per l’altra parte di argento, mentre le ombre provenivano dalla superficie lucida del metallo. Quindi a seconda dell’inclinazione della lastra verso sorgenti luminose o scure, l’immagine poteva apparire o positiva o negativa.
La tecnica della fotografia
Con questa tecnica innovativa e mai vista prima, Daguerre stava ponendo le basi per una vera e proprio scoperta senza precedenti. Le “sue” fotografie stavano rivoluzionando la visione del mondo.
Per la prima volta, le persone (poche e soprattutto molto ricche) potevano tenere in mano una loro fedele riproduzione, che fino al quel momento potevano avere solo di fronte ad uno specchio.
L’immagine fotografica che si otteneva era un’unica copia positiva che richiedeva per la sua realizzazione lunghi tempi di esposizione: da 20 minuti fino a tre quarti d’ora.
Da bianco e nero a colori
La prima macchina fotografica non era però in grado di riprodurre immagini a colori, per arrivare a quel punto bisognerà fare un passo avanti nel tempo e spostarsi negli stati uniti. Vennero impiegati 4 metodi nella colorazione dei dagherrotipi:
- L’applicazione del colore direttamente sul dagherrotipo dorato
- L’applicazione di una vernice protettiva sopra la piastra colorandola successivamente a mano con delle vernici
- Applicando colori trasparenti su alcune aree
- Riscaldando la parte posteriore della piastra con una lampada a spirito
Nonostante tutti questi tentativi, vennero impiegati all’incirca cento anni prima di arrivare ad ottenere una fotografia a colori.
La teoria additiva
La prima immagine a colori risale al 1861 da James Clerk Maxwell, che utilizzo una teoria basata sul principio che tutti i colori della luce possono essere mescolati, combinando i tre colori primari dello spettro, ossia rosso, verde e blu (RGB).
Per esempio una giusta miscela della luce rossa con quella verde può produrre il giallo, mentre quando tutti e tre i colori sono combinati in uguale quantità il risultato è la luce bianca.
Nello specifico quando si parla di RGB bisogna tenere presente che diversamente quindi dalle immagini a livelli di grigio, questo modello di colori è di tipo additivo e si basa appunto sui tre colori già citati sopra: rosso, verde e blu, da cui appunto l’acronimo RGB, da non confondere con i colori primari sottrattivi giallo, ciano e magenta.
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